L’innalzamento del Mediterraneo ha impatti sulla risorse e sul patrimonio culturale. Grammenos Mastrojeni ci ha parlato delle possibili minacce, ma anche di soluzioni e azioni concrete.

L’innalzamento del livello del Mediterraneo è uno degli effetti più preoccupanti dei cambiamenti climatici, eppure continua a essere sottovalutato rispetto ad altre emergenze globali. Non si tratta solo di un problema per luoghi remoti come le Isole del Pacifico o per città fragili come Venezia, ma di una minaccia concreta che coinvolge risorse idriche, sicurezza alimentare e patrimonio culturale delle nostre regioni.

Come ci ha spiegato Grammenos Mastrojeni, vicesegretario aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, il mare nostrum si sta innalzando più velocemente rispetto ad altre aree del pianeta, principalmente a causa della dilatazione termica dell’acqua dovuta all’aumento delle temperature. Questo fenomeno rischia di avere effetti devastanti nei prossimi anni.

Basta un aumento di pochi centimetri, infatti, per compromettere falde acquifere e terreni fertili, con conseguenze dirette sulla disponibilità di acqua potabile e sulla produzione agricola. L’acqua salata, infiltrandosi nei delta dei fiumi e nelle aree costiere, contamina le risorse idriche e rende improduttivi i terreni coltivabili. Questo è già evidente nel delta del Po in Italia, dove i lunghi periodi di siccità aggravano l’intrusione salina, danneggiando coltivazioni tradizionali e riducendo la produttività agricola. Situazioni analoghe si registrano nel delta del Nilo, in Egitto, da cui dipendono oltre cento milioni di abitanti.
“L’acqua salata significa sterilizzare le terre fertili – spiega Mastrojeni – che garantiscono la sicurezza alimentare di milioni di persone, soprattutto nei delta costieri, aree fragili e strategiche al tempo stesso”.

Oltre all’impatto sulle risorse naturali, l’innalzamento del Mediterraneo rappresenta anche una minaccia al patrimonio culturale della regione. Una ricerca recente ha rilevato che 147 siti storici sono a rischio di inondazione nei prossimi cinquant’anni, mentre oltre la metà dei siti costieri in Grecia e Turchia potrebbe finire sott’acqua entro la fine del secolo. Un esempio emblematico è l’isola di Delo, in Grecia, un sito archeologico unico al mondo che sta già subendo danni visibili a causa dell’avanzamento del mare. Qui si sta lavorando per combinare barriere fisiche e valorizzazione delle aree sommerse, dimostrando che proteggere il passato è essenziale per tutelare il futuro.

Affrontare questo tipo di emergenza richiede soluzioni complementari. Come segnalato da Mastrojeni, da un lato ci sono interventi infrastrutturali come dighe e barriere artificiali, che però comportano alti costi e un impatto ambientale significativo. Dall’altro, approcci ecosistemici che si ispirano a tecniche antiche e naturali. Nel delta del Nilo, ad esempio, si rafforzano le dune con steccati di bambù e vegetazione, mentre nelle Isole del Pacifico si punta sulla rivitalizzazione delle mangrovie, una soluzione efficace e sostenibile che ha anche ricevuto un finanziamento di quattro miliardi di euro durante la Cop28.

Soprattutto, la consapevolezza pubblica è, secondo Mastrojeni, lo strumento fondamentale per spingere verso il cambiamento.
“Dobbiamo far capire che un parco urbano non è solo un abbellimento, ma un servizio ecosistemico fondamentale, capace di proteggerci a costi contenuti”.

Proteggere il Mediterraneo significa difendere le sue risorse naturali, la cultura millenaria e le comunità che da esso dipendono. L’impegno collettivo, unito a soluzioni sostenibili e innovative, è la chiave per affrontare questa sfida con la tempestività necessaria, assicurando un futuro resiliente per una delle aree più preziose del nostro pianeta.