La Giornata mondiale della Terra è dedicata a un pianeta che per oltre il 70 per cento della superfice è coperto d’acqua. «Il pianeta è blu, da qui dovremmo pensare il green» dice Sigi Gruber.

Gruber dal 2023 è componente del Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo, nel quale porta il suo expertise nella Blue Economy. Ha lavorato per più di trent’anni a Bruxelles, gli ultimi sette dei quali nell’Unità che lei ha contribuito a creare: Healthy Ocean and Seas della Direzione generale della Ricerca e dell'Innovazione della Commissione europea.

È l'Unità che ha coordinato, tra le tante, l'iniziativa BlueMed e le proposte per la crescita blu del Programma di Ricerca e Innovazione “Horizon 2020”. In pensione dalla fine del 2020, resta consulente dell’Unione europea «a titolo gratuito», come tiene a precisare per gli euroscettici. Continua a occuparsi del trasferimento di conoscenze e opportunità ai giovani, quelle dei programmi della Ue. Per lei, nata a Bolzano, prendersi cura dell’ecosistema acquatico è la chiave per costruire un futuro sostenibile non solo per gli stock ittici o l’economia turistica sulle coste; quanto per l’aria stessa che respiriamo. Una sensibilità che inizia con piccoli semplici gesti quotidiani.

«Se guardiamo al calendario, l’8 giugno è la giornata mondiale degli oceani e da poco è passato il 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua. Eppure, manca un approccio sistemico. Nessun ambiente è così complesso come il sistema acquatico. Ecco perché dovremmo metterci del blu nel green, come dice il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius».

>> Che cosa significa?
«Quando parliamo di transizione ecologica, tendiamo a focalizzarci molto sulla green economy ma non abbastanza sull’economia blu. Ma senza una consapevolezza della salute dei mari, diventa difficile attuare la prima. Pensiamo a cosa comporti il surriscaldamento degli oceani, gli uragani, le alluvioni. Il cambiamento climatico è in questo effetto domino».

>> Se ne parla ancora troppo poco forse perché gli effetti dell’inquinamento del suolo sono visibili a occhio nudo, mentre l’acqua è così vasta che non ci accorgiamo del suo stato di salute se non quando l’inquinamento arriva sulle spiagge in forma di divieto di balneazione o quando vediamo le foto aeree della Great Pacific Garbage Patch?
«Manca ancora un legame affettivo con il mare. Si può intervenire sui bambini, ma occorrerebbe farlo anche per gli adulti, visto che circa il 40 per cento della popolazione europea vive a non più di 50 chilometri dal mare, ma la pressione delle attività umane si scarica sul 93 per cento dell’habitat e specie acquatiche. Una cosa però è cambiata negli ultimi anni, ed è proprio l’attenzione che l’opinione pubblica ha per il problema dei rifiuti di plastica in mare. L’uso che facciamo della plastica è centrale, non possiamo farne a meno come il Covid ci ha purtroppo ricordato, ma non c’è ancora una plastica completamente biodegradabile in acqua. Come ripete spesso il Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, da qui a trent’anni avremo più plastica in mare che pesci. Ecco perché la Commissione si è data l’obiettivo molto ambizioso di eliminare entro il 2030 il 50 per cento delle plastiche e il 30 per cento delle microplastiche in mare con la missione “Far rivivere i nostri oceani e le nostre acque entro il 2030”».

>> Da dove iniziare per contribuire a questa missione europea?
«Da piccole semplici azioni. Anzitutto non buttare la plastica nell’ambiente, riutilizzarla il più possibile, soprattutto i contenitori. Poi l’uso che facciamo dell’acqua potabile, che, ricordiamolo, non è una risorsa infinita. Quando facciamo la doccia riduciamo il tempo del consumo di acqua. Quando laviamo la frutta e la verdura, facciamolo con una vaschetta sotto e poi usiamo quell’acqua per innaffiare le piante di casa. Controlliamo sempre bene i rubinetti di casa. Queste azioni responsabili iniziano a casa. A Bruxelles, ricordo, c’era una pubblicità sulle strade con dei tubi d’acquedotto e diceva “il tuo oceano inizia qui”. Occorre uno sforzo transdisciplinare, scienziati e umanisti insieme per raccontare i benefici di un unico ecosistema blu, una mobilizzazione generale, e tutti sono invitati a contribuire a questa missione europea aderendo alla Charter della missione»

>> Infine, quali sono i numeri della blue economy?
«Secondo l’Unione Europea il “mare” fornisce 4,5 milioni di posti di lavoro diretti e un fatturato di 650 miliardi. Se la blue economy fosse un'economia nazionale, sarebbe la settima più grande al mondo. I porti, le navi, il trasporto marittimo, la pesca, ma poi c’è questo ecosistema complesso che contiene l’80 per cento di tutte le forme di vita del pianeta. Questa complessità rappresenta anche un’opportunità per i giovani. Da qui possono nascere nuovi saperi interdisciplinari per i lavori di domani perché la transizione ecologica va di pari passo con quella digitale».