AGICI: <<Dalla termovalorizzazione alla circolarità: il riciclo chimico può fare la differenza>>
Riciclo chimico, l’evoluzione in Italia e in Europa: il rapporto AGICI
Come potenziare la filiera del riciclo chimico. Il rapporto AGICI
Con il riciclo meccanico tradizionale si ricicla circa il 42% degli imballaggi plastici immessi in consumo, ma l'esigenza di una sempre maggiore circolarità spinge a cercare strategie per alzare ulteriormente questo livello: tra queste, il riciclo chimico, che può aggredire una parte della materia oggi destinata a recupero energetico. Non solo. <<Questo processo permette di scomporre un polimero in monomero e riformare un nuovo polimero, in tutto e per tutto simile al vergine. Si superano così i limiti degli attuali materiali riciclati meccanicamente, che non garantiscono le medesime performance della plastica vergine e non possono essere usati, ad esempio, negli imballaggi a contatto alimentare. Il riciclo chimico può anche essere applicato ai residui di selezione dei rifiuti indifferenziati, permettendo di recuperare materia ed evitando le emissioni di CO2 connesse con la termovalorizzazione>>. A spiegarlo è Eugenio Sini, coordinatore dell'Osservatorio Riciclo & Rifiuti di AGICI, boutique di ricerca e consulenza economico-strategica, con una forte attenzione agli aspetti chiave della transizione ecologica ed energetica.
A Ecomondo 2025 l’azienda ha presentato il rapporto “Riciclo chimico: potenzialità di sviluppo e proposte per far decollare il mercato”. <<L'obiettivo dello studio era capire se queste premesse fossero credibili e a quali condizioni le varie tecnologie di riciclo chimico (solvolisi, pirolisi e gassificazione, ndr) potessero funzionare>>.
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Qual è la situazione della filiera del riciclo chimico?
<<In tutta Europa vediamo un aumento della capacità autorizzata di impianti di pirolisi, che può essere usata per il recupero di poliolefine miste (PE e PP), attualmente termovalorizzate insieme al resto del plasmix. L’andamento descrive una curva esponenziale: attualmente ci collochiamo nel punto di inflessione, nel momento che precede, secondo i modelli di diffusione tecnologica, un’adozione su vasta scala>>.
E in Italia?
<<Rileviamo questa stessa corsa verso la pirolisi. Gli esperimenti condotti finora su piccoli impianti pilota stanno portando a richieste autorizzative per siti da 20.000 – 40.000 tonnellate. Inoltre, vediamo attori che, ragionando già in ottica di filiera, si posizionano sul mercato come preparatori del feedstock, che alimenterà gli impianti di altre aziende. La filiera italiana è una delle più mature, con diversi attori privati che stanno facendo investimenti anche in assenza di certezza normativa>>.
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Quali sono le difficoltà e i rischi che la filiera sta affrontando?
<<Abbiamo identificato almeno tre tipi di rischi, che vanno gestiti per permettere alla filiera di fare un salto di scala ed uscire dal circolo vizioso del meccanismo di lock-in. Il primo è connesso alla disponibilità di feedstock, poiché, ad esempio, la quantità di poliolefine presenti nel plasmix ha un limite fisico e deve inoltre essere accuratamente trattata prima di essere usata come input per la pirolisi. In uno scenario in cui più impianti di pirolisi competono per un feedstock limitato, un eventuale aumento incontrollato del prezzo del feedstock potrebbe spingere gli impianti fuori mercato. Il secondo rischio, connesso con gli impianti stessi, è strettamente legato al primo: se si autorizzano più impianti di quelli necessari a trattare la quantità di feedstock disponibile, si crea un over-capacity che potrebbe spingere le aziende a competere per un feedstock scarso e poi spingerle fuori mercato, se non dovessero riuscire a saturare gli impianti>>.
Il terzo rischio, invece, è connesso con i mercati degli output, come l’olio di pirolisi o il metanolo.
<<La vendita di questi prodotti può sostenere economicamente l’intera filiera solo se a valle si riconosce una premialità green. In base ai nostri scenari riteniamo che l’obbligo normativo e la scarsità di questi prodotti spingeranno in una prima fase questa premialità verso l’alto. Tuttavia, nel lungo periodo ci si può attendere che essa dovrà ridursi per competere con il prodotto di origine fossile>>.
A livello normativo quali sono i nodi da sciogliere?
<<In sede europea è fondamentale definire i meccanismi di calcolo del bilancio di massa per quanto concerne l’olio di pirolisi e dei combustibili a basso contenuto di CO2 per il metanolo sostenibile. Queste definizioni permetteranno ai mercati a valle di esistere e quindi di supportare l’intera filiera. In secondo luogo, è necessario sviluppare un protocollo end-of-waste per il feedstock degli impianti da pirolisi, in modo da standardizzare il processo e facilitare la circolazione del prodotto, possibilmente a livello europeo. È inoltre necessario che i processi autorizzativi degli impianti siano gestiti in maniera centrale in funzione dell’effettiva quantità di feedstock disponibile per evitare una sovra-capacità, augurandosi che la centralizzazione possa anche accelerare e facilitare il permitting>>.
Che cosa emerge dai business case presi in esame dallo studio? Come favorire lo sviluppo sostenibile della filiera?
<<Sia le tecnologie di pirolisi sia quelle di gassificazione hanno per il momento CAPEX molto alti e necessitano di stabilità per rendere redditizio il progetto. Occorre stabilizzare il più possibile le condizioni di mercato del feedstock, nonché quelle dell’olio di pirolisi e del metanolo sostenibile, che in una prima fase hanno bisogno che il mercato riconosca un’alta premialità a questi prodotti>>.
Come garantire la qualità e disponibilità del feedstock?
<<Serve cooperazione tra tutti gli attori, ovvero COREPLA come fornitore del mix poliolefinico, le aziende specializzate nella preparazione del feedstock, quelle specializzate nella pirolisi e quelle integrate. Oltre a definire una capacità autorizzabile in termini di impianti di pirolisi, onde evitare il rischio di over-capacity, e a standardizzare la qualità del feedstock attraverso decreti end-of-waste, è importante che i vari soggetti lungo la filiera evitino di fare i propri margini a spese di chi sta a monte o a valle, perché in questa fase fragile e di decollo la filiera ha bisogno che tutti stiano sul mercato. Se le regole sul bilancio di massa permetteranno al mercato dell’olio di pirolisi di esistere, il suo alto valore in questa prima fase dovrebbe permettere a tutta la filiera di stare sul mercato>>.
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Il discorso vale anche per la gassificazione?
<<Anche in questo caso occorre autorizzare impianti con una capacità congrua rispetto al feedstock effettivamente disponibile, come CSS (Combustibile Solido Secondario) o altri rifiuti speciali (pulper da cartiera, rifiuti da concerie, etc.). La disponibilità di flussi è potenzialmente più ampia rispetto a quelli per la pirolisi, tuttavia gli impianti sono di taglia generalmente più grande e anche in questo caso è necessario autorizzarli in funzione dell’effettiva disponibilità di materia. In futuro questa disponibilità potrebbe anche aumentare, se si considera una progressiva dismissione di alcuni impianti di termovalorizzazione a fine vita in Italia>>.
I mercati a valle per i prodotti del riciclo chimico sono maturi?
<<No. Oggi non esistono propriamente dei mercati per l’olio di pirolisi e per il metanolo sostenibile. Potranno esistere solo grazie all’intervento legislativo. Gli obiettivi delle normative europee hanno creato una domanda potenziale per questi prodotti, ma mancano ancora definizioni condivise per permettere una loro commoditisation. I policy-maker sono al lavoro, ma è importante che prendano in considerazione la voce degli operatori di mercato>>.
Avete sviluppato possibili scenari per questi mercati?
<<Osservando gli obiettivi della PPWR in materia di contenuto riciclato degli imballaggi a contatto alimentare, abbiamo stimato una domanda minima di olio di pirolisi per raggiungere questi obiettivi di 830 kt al 2030 che eccede l’offerta potenziale. Questo si può tradurre in scarsità strutturale e prezzi alti. Analogamente per il mercato del metanolo sostenibile, se si considera il suo impiego nel bunkeraggio, prendendo a riferimento gli obiettivi del FuelEU Marittime per la decarbonizzazione dello shipping, abbiamo ipotizzato un mercato di oltre 3,2 Mt di metanolo sostenibile, superiore di diversi ordini di grandezza rispetto all’offerta potenziale>>.
In tema di investimenti, come si posiziona l’Italia rispetto all’Europa?
<<Siamo il Paese con il maggior numero di progetti attivi, al netto quindi dei disinvestimenti, peraltro differenziati in tutte e tre le principali tecnologie: solvolisi, meno matura, pirolisi e gassificazione. Seguono Germania, Francia e Belgio, specializzati solo nei primi due processi. Il sistema industriale italiano va in continuità con gli investimenti fatti in passato in materia di riciclo meccanico, che ci hanno portato ai vertici europei dell’efficienza nella gestione dei rifiuti. Tuttavia, a differenza dei normali mercati delle materie prime seconde, che tendono ad avere dimensione nazionale, per i prodotti del riciclo chimico si può immaginare un mercato europeo, con cui l’Italia si dovrà confrontare. In particolare, va considerato il quadro della più ampia riconfigurazione dell’industria chimica europea. La domanda potenziale di olio di pirolisi è data dagli impianti di steam cracking a valle, che tuttavia stanno chiudendo in tutta Europa, Italia inclusa: le imprese del riciclo chimico italiane dovranno così operare in un mercato con un numero di buyer sempre più esiguo>>.
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Uno degli scopi dello studio era riunire intorno a un tavolo i principali player nazionali del riciclo chimico, come avvenuto a Ecomondo: quale messaggio è emerso?
<<Come detto, questo comparto può superare la fase di scale-up solo se vi è cooperazione tra gli attori lungo la filiera ed era quindi essenziale creare un momento di confronto per comprendere le varie aspettative. Il messaggio chiave per le istituzioni è che le imprese sono pronte ad investire e confrontarsi per cooperare. Serve un tavolo di lavoro e una politica industriale che definisca gli orizzonti di lungo periodo e faciliti l’avvio: lo Stato, oltre a fare advocacy per una posizione italiana in sede di policy-making europeo, deve guidare i processi autorizzativi in base al feedstock disponibile e facilitarne il permitting>>.
Quali incentivi suggerite?
<<Abbiamo sviluppato una proposta di incentivo che lo Stato potrebbe erogare per supportare questa prima fase di sviluppo dell’industria della pirolisi. Non ha costo per le casse pubbliche, ma anzi può rappresentare un risparmio. Infatti oggi l’Italia, tramite la cosiddetta plastic levy, paga all’Unione Europea - tramite fiscalità generale - 800€ per ogni tonnellata di plastica non riciclata. Se un impianto di pirolisi riuscisse a riciclare chimicamente una tonnellata di plastica che prima non veniva riciclata, potrebbe vedersi riconosciuto un contributo sugli OPEX che, oltre a stabilizzare la filiera, permetterebbe alla fiscalità generale di risparmiare il costo della plastic levy>>.
Articolo scritto da Maria Carla Rota
Questo blog è un progetto editoriale sviluppato da Ecomondo con Materia Rinnovabile
PUBBLICAZIONE
17/12/2025