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29ª Edizione  03-06 Novembre 2026  Quartiere Fieristico di Rimini
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Green economy, la bussola da seguire: il quadro italiano e i segnali dal mondo

Green economy, la bussola da seguire: il quadro italiano e i segnali dal mondo

La crisi climatica non è un’opinione e la transizione è una sfida epocale ineludibile: non conviene uscirne, e nemmeno si può. Lo ha ricordato The Economist lo scorso settembre a proposito della crociata anti-solare di Trump, citando la canzone più famosa degli Eagles, Hotel California: <<Puoi fare check out quando vuoi, ma non potrai mai davvero andartene>>.  

Anzi, l’economia verde è la bussola da seguire, come hanno ribadito a Ecomondo 2025 i protagonisti della 14ª edizione degli Stati Generali della Green Economy, promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Due giorni di dibattito su politiche, investimenti e strategie, a livello sia italiano che internazionale, grazie al confronto tra punti di vista diversi, dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Cina all’Africa. 



Green economy: perché all’Italia conviene 
Lo stato di salute dell’economia verde in Italia registra luci ed ombre, secondo la Relazione sullo stato della green economy 2025. Da un lato, i risultati positivi: la produzione di energia elettrica da rinnovabili ammonta al 49% di tutta la generazione nazionale di elettricità, il primato europeo dell’Italia nel campo dell’economia circolare si conferma, l’agricoltura biologica cresce del 24% nel 2024 e le città del nostro Paese mostrano vivacità nella transizione ecologica. Dall’altro lato, ci sono ancora vari aspetti da migliorare: nel 2024 le emissioni di gas serra diminuiscono troppo poco, i consumi finali di energia per edifici e trasporti aumentano e si importa troppa energia dall’estero. Inoltre, il consumo di suolo non si arresta, mentre la mobilità sostenibile si scontra con il fatto che possediamo 701 auto ogni 1.000 abitanti, il numero più alto d’Europa.  

Al centro del dibattito, una domanda: conviene o meno all’Italia tornare indietro nel percorso di transizione verso la green economy? 
<< Noi riteniamo di no, anche alla luce dell’impatto positivo sull’economia italiana avuto con i progetti del PNRR, nei quali è stato rilevante l’aspetto della sostenibilità ambientale>>, ha risposto Edo Ronchi, Presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile. <<Senza il PNRR, il PIL italiano sarebbe stato in stagnazione o, addirittura, in recessione e sarebbe stato molto difficile contenere il deficit al 3%>>. 


<<L’Italia, con le sue leadership in settori fondamentali come l'economia circolare, ha le carte in regola per essere nel gruppo di testa di un'Europa che guardi alla transizione in modo realistico e pragmatico>>, ha sottolineato Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica. <<In un contesto complesso sotto il profilo geopolitico, e caratterizzato da profondi cambiamenti climatici, il nostro continente deve investire in innovazione, crescita sostenibile e sicurezza energetica. L'Italia delle imprese impegnate nella green economy è un esempio da seguire per l'economia del futuro>>. 

La situazione in Europa 
Allargando lo sguardo all’Europa, il continente che si sta scaldando più rapidamente, bastano pochi dati a rendere evidente quanto sia necessario contrastare la crisi climatica: gli eventi meteo estremi che si sono susseguiti dal 1980 al 2023 sono costati 738 miliardi di euro, mentre solo nel 2024 l’UE ha speso 375,9 miliardi di euro per l’import di combustibili fossili. 

Il Green Deal europeo non è stato facile né privo di errori, ma, grazie al Next Generation EU, che ne è il pilastro principale, sono stati finanziati i PNRR, sostenendo la transizione ecologica e la ripresa post-Covid. <<Siamo attualmente in linea con il 21% degli obiettivi, mentre il 41% richiede progressi accelerati per raggiungere i target. Nel 10% dei casi, invece, la tendenza deve essere invertita>>, ha spiegato Alessandra Zampieri, Direttrice per le risorse sostenibili al Joint Research Centre della Commissione Europea. 

I risultati positivi? Oltre al costante taglio delle emissioni di gas serra (- 37%  tra il 1990 e il 2023),  gli addetti al settore della bioeconomia nel 2024 sono arrivati a 17 milioni, oltre l’8% dei posti di lavoro nell’UE, le rinnovabili hanno superato la quota del 22%, con il solare che è la fonte di energia a crescita più rapida, mentre i tassi di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio si stanno muovendo costantemente verso l'obiettivo del 70% entro il 2030.  

Guardando al futuro, nella proposta del QFP (Quadro Finanziario Pluriennale) 2028-2034 per il clima e l’ambiente sono stati mobilitati 700 miliardi di euro.  


Dove bisogna accelerare? <<È necessario disaccoppiare la crescita economica dall'uso delle risorse e dall'impronta di consumo, ridurre la produzione di rifiuti ed accelerare la riduzione delle emissioni di gas serra nell’agricoltura e nei trasporti, dopo i progressi messi già a segno da altri settori, come energia e industria. Bisogna poi arrestare la perdita di biodiversità e invertire la tendenza al declino degli impollinatori, che incide anche sulla sicurezza alimentare, Infine, accelerare la crescita delle energie rinnovabili per raggiungere il 42,5% (45%), migliorare la qualità dell'acqua e arrestare il consumo di suolo>>. 

Focus: la biodiversità in Europa  
Proprio il tema della biodiversità in Europa, insieme al collasso degli ecosistemi, è al secondo posto fra i maggiori rischi percepiti entro i prossimi 10 anni, secondo il Global Risks Report 2025. Solo il 15% degli habitat europei è in ‘buono’ stato, il 4% è in uno stato ‘scarso’, il 36% è in ‘cattivo’ stato (il 45% non è classificato per mancanza di studi), in base al rapporto 2024 dell’Agenzia europea per l’ambiente. Per quanto riguarda le specie presenti in Europa solo il 27% ha un buono stato di conservazione e solo il 6% mostra una tendenza al miglioramento. Da questi ed altri indicatori, insieme al consumo di suolo che non si arresta, risulta chiaramente che l’UE non è sulla buona strada per raggiungere i suoi obiettivi di tutela della biodiversità.  

Le ragioni delle difficoltà e dei ritardi sono abbastanza chiare: la crisi climatica, il modello lineare e dissipativo di crescita economica, le pressioni tradizionali dell’urbanizzazione diffusa e di un certo modello di agricoltura industriale, ancora diffuso. Diventa quindi essenziale l’applicazione della Nature Restoration Law, una misura significativa per la biodiversità che l’Ue ha adottato nel 2024. 


La Cina sarà il primo “elettro Stato”? 
Se si parla di transizione, la Cina è chiaramente un attore di primo piano. Con 12 miliardi di tonnellate di CO2 questo Paese è stato il 1° emettitore mondiale nel 2024 (32% del totale globale) e si posiziona al terzo posto per quanto riguarda la responsabilità climatica storica (potrebbe presto superare l’UE27). Con il 58% dell’offerta globale è il primo fornitore mondiale di carbone, ma è anche leader nelle tecnologie verdi: l’80% dei pannelli solari, il 60% delle turbine eoliche e il 50% dei veicoli elettrici venduti nel mondo sono prodotti da Pechino. Con il 29% del consumo energetico elettrico, la Cina punta a diventare il primo grande elettro Stato”.  

Come già successo con la digitalizzazione, anche gli impatti dell’accelerazione di Pechino sulla green economy sono ineludibili: se da un lato cittadini e imprese europee hanno il vantaggio di poter accedere a tecnologie e prodotti green cinesi di buona qualità e a costi contenuti, dall’altro lato si rischia una concorrenza invasiva, sostenuta da sussidi statali e da efficaci politiche industriali decennali. La via da seguire è stata tracciata da Junming Zhu, Associate Dean della School of Public Policy and Management dell’Università Tsinghua, che ha evidenziato tre step: <<Equilibrio tra economia, ambiente ed equità; trasformazione radicale dalla politica al business, fino al lifestyle; collaborazione internazionale per la scienza, la tecnologia e la politica>>. 


Negli Stati Uniti la retromarcia trumpiana 
Quali sono, invece, gli impatti della retromarcia dell’amministrazione Trump, che difende gli interessi del settore dei fossili, molto forte negli Stati Uniti, considerato che questo Paese è il primo produttore al mondo di gas naturale e petrolio? Sotto la guida del tycoon l’America si è ritirata dall’Accordo di Parigi ed ha annullato i target 2030 e 2035, così come l’obiettivo Net Zero.   

I dati raccolti da Italy For Climate tracciano un quadro efficace: gli Stati Uniti sono il primo emettitore pro capite di gas serra (18 tonnellate, 3 volte la media globale) e il primo Paese per responsabilità climatica storica. La riduzione delle emissioni di CO2 è stata solo del 3,7% rispetto ai livelli del 1990, uno sforzo ben 10 volte inferiore rispetto all’UE, mentre nel 2025 è previsto un aumento delle emissioni dell’1,8%. Il mercato dei veicoli elettrici cresce (+10% nel 2024; 1,6 milioni di veicoli elettrici venduti), sebbene Tesla non sia più il primo produttore mondiale, superata dalla cinese BYD. Le vendite di auto green negli Usa saliranno a 4,1 milioni nel 2030 e rappresenteranno il 27% delle vendite totali di automobili, segnando un -40% rispetto alle previsioni precedenti. Gli investimenti in rinnovabili, reti ed efficienza energetica ammonteranno a 390 milioni di dollari, al secondo posto dopo la Cina, ma l’IEA ha ridotto del 45% le sue previsioni 2025-2030. 


Africa, frontiera della futura economia verde 
L’Africa, dove vivono 1,5 miliardi di persone (più della Cina), concentra inevitabilmente su di sé molta attenzione, perché da questa area geografica si attendono importanti progressi verso una transizione sostenibile.

Qualche dato: questo continente ha contribuito solo al 3% delle emissioni storiche di CO2, ma ne sta subendo gli impatti più elevati (eccesso di mortalità al 2050 pari al 50% di quello globale). Qui si producono 2,2 tonnellate di gas serra pro capite, 3 volte meno rispetto alla media globale e 8 volte meno rispetto agli Stati Uniti. Il fabbisogno finanziario per l'adattamento è stimato in 61 miliardi di dollari all'anno, ma i flussi finanziari pubblici internazionali sono stati pari a 13 miliardi (media 2018-2022), con un gap di 48 miliardi. 

Il continente africano detiene alcune delle risorse naturali più rilevanti al mondo per lo sviluppo della green economy, come ha messo in luce Davinah Milenge Uwella, Responsabile Climate Change and Green Growth Department dell’African Development Bank: <<La sola energia solare vale 10 TW, pari al 60% del potenziale globale. A questa si aggiungono 110 GW di eolico, 350 GW di idroelettrico e 15 GW di geotermia. Inoltre, l’Africa possiede il 65% delle terre arabili non ancora coltivate del pianeta, ospita il 25% della biodiversità mondiale e detiene il 35% dei minerali critici necessari alla transizione energetica>>.

  
Nonostante il suo potenziale, l’Africa affronta attualmente una delle più grandi sfide energetiche al mondo: 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità, pari all’83% del deficit energetico globale. <<Per rispondere a questa emergenza, AfDB e World Bank hanno lanciato Mission 300, con l’obiettivo di portare energia a 300 milioni di persone entro il 2030>>. Questo è solo uno dei progetti che il continente sta portando avanti per non limitarsi a difendersi dagli impatti climatici, ma per ricoprire un ruolo da protagonista nei settori dell’energia, della natura, dell’innovazione e della circular economy

Come ha affermato Abiy Ahmed Ali, Primo Ministro dell’Etiopia e Premio Nobel per la Pace 2019, al secondo African Climate Summit nel settembre 2025, <<non siamo qui per negoziare la nostra sopravvivenza. Siamo qui per progettare la prossima economia climatica mondiale>>. Insomma, l’Africa si prepara, serve che il mondo faccia altrettanto. 

Articolo scritto da Maria Carla Rota 

Questo blog è un progetto editoriale sviluppato da Ecomondo con Materia Rinnovabile

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