L’ingegno umano non ha smesso di funzionare. Anzi, meglio detto: l’ingegno collettivo, la creatività, la visione di cui sono capaci gli esseri umani non hanno smesso di funzionare.

 

Malgrado il riaccendersi di conflitti spaventosi, malgrado la crisi climatica e quella ecosistemica si facciano sentire con tutta la loro durezza e drammaticità, malgrado le diseguaglianze siano di nuovo esplose, fino a vedere concentrate nelle mani di un pugno di persone (l’1% della popolazione mondiale) quasi la metà delle risorse globali disponibili, esiste e persiste, senza ombra di dubbio, il lavoro prezioso e determinatissimo di chi lavora alacremente per invertire la rotta. C’è un mondo vasto, visionario, operoso, determinato, che agisce sempre con maggior successo e con maggiore efficacia, malgrado tutto.

È un pensiero a cui, a mio avviso, è necessario aggrapparsi per attraversare questi tempi complessi senza perdere la bussola; è una delle cose che “inferno non è”, per dirla alla Italo Calvino maniera, che occorre fare vivere, per la quale occorre fare spazio e accendere più luce possibile, in modo che sia ben visibile.

E’ per questo che sono orgogliosa di contribuire al percorso virtuoso di AzzeroCO2 (azienda creata da Legambiente e Kyoto Club nel 2004 proprio per dimostrare la concreta e pragmatica bontà della proposta ecologista anche per aziende ed Enti Locali); è per questo che, ormai da cinque anni, assieme ad Alessandro Gassmann, con il supporto di Kyoto Club e di un team affiatato e coeso di professionisti entusiasti1, portiamo avanti il progetto dei #GreenHeroes: non solo per raccontare le tante eccellenze dell’economia circolare, della transizione energetica, delle economie generative e trasformative del nostro Paese, ma anche per curare e potenziare le relazioni tra le protagoniste e i protagonisti delle imprese che raccontiamo, in modo che possano nascere nuovi percorsi, nuove idee, nuove messe a terra di sguardi visionari e “mani” operose.

Ed è per motivi davvero molto simili che, da tanti anni, non mi perdo un’edizione di Ecomondo.

Per noi che abbiamo fatto di questo settore una professione, perché prima di ogni altra cosa è la nostra passione e forse addirittura la nostra missione, è un appuntamento fissato in agenda da un anno all’altro, a cui guardiamo con aspettative crescenti. In qualche modo, è alla fiera di Rimini che facciamo il bilancio dell’anno, che tocchiamo con mano quanto il nostro settore sia in salute, quanto sia pronto a contagiare un pezzo di mondo ancora più grande, quanto possa ambire a crescere ancora.

E lo facciamo, sempre, a partire dai numeri: non solo da quelli, incredibili, che fa Ecomondo di anno in anno (crescendo in presenze, in spazi acquisiti da imprese, associazioni e Enti, in presenze dall’estero, anche al netto della “separazione” da KEY), ma anche da quelli che puntualmente, proprio durante Ecomondo, vengono presentati durante gli “Stati Generali della Green Economy”.

La scelta strategica che porta alla riduzione del proprio impatto sull’ambiente, infatti, si conferma vincente per l’economia anche osservando i risultati del report “L’economia di domani: una green economy decarbonizzata, circolare e rigenerativa”.    
Nell’analisi, presentata a novembre 2023, si stima un beneficio per 689 mld di euro in un arco di tempo di dieci anni, a fronte di costi cumulati per 136,7 mld, considerando gli effetti del solo pacchetto normativo europeo per la decarbonizzazione “Fit for 55”. Numeri che, occorre ribadirlo, sono associati a un aumento netto di generazione di posti di lavoro e che nessun altro settore industriale è in grado di garantire a medio – lungo termine.

Importantissimo, in tal senso, è stato l’impulso dato all’interno della fiera all’accelerazione di percorsi di formazione, di “up-skilling” e di “re-skilling” e di incontro con le esigenze delle aziende, sempre più interessate ad acquisire personale in grado di dare solidità a percorsi di innovazione ambientale e sociale.

>> Scopri il progetto Green Jobs di Ecomondo

Tale impegno appare ancora più cruciale in un momento storico in cui siamo di fronte ad uno sfasamento drammatico tra centinaia di migliaia di persone in cerca di occupazione e altrettante richieste di personale qualificato disattese, che mettono in seria difficoltà il lavoro delle imprese.

È evidente, in un contesto del genere, che occorra uno sforzo di focalizzazione e di indirizzo del mondo della formazione, che si muova in parallelo rispetto al salto di qualità nella costruzione di un percorso strategico sistemico (economico, sociale, industriale, culturale) del nostro sistema Paese. E il tutto non può che essere illuminato dal comune obiettivo di decarbonizzazione a cui siamo chiamati non “solo” dalla comunità scientifica e dai fatti incontrovertibili e drammatici in cui siamo immersi, ma anche dagli accordi internazionali che ci siamo impegnati, come Italia e come Europa a rispettare (penso in particolare agli obiettivi del Green Deal europeo, ai percorsi delle COP che avanzano, seppur tra mille difficoltà, e all’agenda al 2030 delle Nazioni Unite, che rappresenta uno dei punti più alti di elaborazione collettiva).

Ed è altrettanto evidente quanto, per poter raccontare questa necessaria evoluzione (che forse sarebbe meglio chiamare rivoluzione) sia necessario uno sforzo di riflessione sulla comunicazione che non può e non deve essere apocalittica, ma che deve restare rigorosa e ben salda sui principi dell’ambientalismo scientifico. Il rischio che la cresciuta e crescente sensibilità delle persone nei confronti dell’impatto ambientale dei propri comportamenti sia tradita attraverso pratiche manipolatorie come il greenwashing è, infatti, elevatissimo. Oggi più che mai.

Ma, proprio per questo, rendere il proprio messaggio chiaro e semplice, ma allo stesso tempo trasparente e rigoroso è parte integrante del consolidamento della reputazione e dell’affidabilità delle imprese, a maggior ragione in un momento storico in cui ciascuno è chiamato a fare la propria parte.

Si tratta di un salto evolutivo che tutte le imprese sono chiamate a fare, e che passa tanto dalla selezione di competenze consolidate, quanto dalla ricerca di giovani talenti; un salto mirato alla costruzione di team multidisciplinari che tengano assieme saldamente il percorso strategico imprenditoriale con la responsabilità sociale di impresa, come anche con le pratiche commerciali, di comunicazione e di marketing. Una sfida certamente complessa e ambiziosa, ma anche decisamente vincente e lungimirante, per la quale oggigiorno esistono diversi strumenti “alleati”, a cui appoggiarsi.

Gli ultimi 25 anni, a valle della pubblicazione del protocollo di Kyoto nel corso della terza “conferenza delle parti” (COP3) del 1997, sono stati caratterizzati da un crescente mix di competizione e cooperazione, a livello internazionale, attorno all’elaborazione di standard e di procedure finalizzati a supportare e rendere intellegibili, misurabili, trasparenti (e quindi correttamente comunicabili) i percorsi di integrazione del contrasto alla crisi climatica e di alleggerimento dell’impatto ambientale nelle strategie d’impresa.

L’impianto metodologico alla base delle successive elaborazioni è sempre quello della “valutazione del ciclo di vita di prodotti e servizi” (Life Cycle Assessment), definito e lanciato nel 1990 durante il congresso della Setac (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) e, successivamente, reso oggetto di standardizzazione dall’ISO (International Standards Organization) attraverso le famiglie di norme ISO 14040, 14044 e successive. Analizzare gli impatti legati ad un oggetto o ad un servizio “dall’estrazione delle materie prime” fino alla “dismissione a fine vita” di ogni flusso di materiali è, di fatto, l’unico modo:

  • per evitare che gli impatti vengano “nascosti” attraverso spostamenti temporali (l’impatto avviene prima o dopo l’utilizzo) o geografici (gli impatti avvengono in luoghi lontani dal consumatore);
     
  • per comparare in maniera rigorosa modi diversi per ottenere lo stesso servizio (caso studio tipico è quello dell’asciugatura delle mani nei bagni pubblici. Come comparare altrimenti salviette usa e getta, asciugamano di stoffa a rotolo, con asciugatori ad aria di vario tipo?);
     
  • per condurre correttamente la revisione o addirittura ri-progettazione dei processi produttivi, ispirata a risolvere le principali criticità ambientali, in una piena ottica di economia circolare.

Ed è proprio l’approccio LCA, applicato all’indicatore GWP (Global Warming Potential), che ha fornito la piattaforma metodologica per le “Carbon Footprint” di prodotto (ISO 14067) o di organizzazione (ISO 14064): strumenti fondamentali per avviare i percorsi strategici progressivi che portano un’impresa verso la “Carbon Neutrality” (che utilizza lo standard PAS2060) o verso l’obiettivo “Net Zero” (che fa riferimento invece allo Science Based Targets Initiatives).

Dotarsi di questo tipo di strumenti, che si incardinano in un percorso collettivo di cooperazione per la decarbonizzazione, ratificato anche dagli esisti della COP28, diviene sempre più importante non solo per intraprendere percorsi solidi che siano in grado di riqualificare realmente in chiave sostenibile il proprio modo di produrre, ma anche per lavorare in maniera cristallina sul fronte reputazionale.

In particolare all’interno di una competizione che si fa via via più serrata, per acquisire la fiducia di consumatori sempre più attenti ai principi della salvaguardia dell’ecosistema, infatti, non può mancare la consapevolezza del fatto che, come si accennava precedentemente, ci si muova su un mercato in cui esistono pratiche spregiudicate e financo truffaldine, fatte di affermazioni parziali, poco trasparenti, non codificate e, per giunta, inquinato da un proliferare di metriche, etichette, bollini da “50 sfumature di green” non agganciati ad alcun impianto metodologico normato e riconosciuto, ma ugualmente sospinte da campagne di marketing molto ricche.

La sola certezza, in uno scenario così turbolento, è che il cambiamento stia arrivando sul serio. Chi si preoccupa di negarlo o di affrontarlo solo con un maquillage di facciata potrà forse arraffare qualcosa nel brevissimo periodo, con il tipico atteggiamento predatorio e auto-lesionista che ci ha portato fin qui. Per tutti gli altri, quelli che quando soffia il vento del cambiamento si dedicano a costruire mulini, ci vediamo ad Ecomondo il prossimo anno.

Un articolo di Annalisa Corrado
 

 

Note

1 Francesco Ferrante, Roberto Bragalone, Nicola Moscheni, Roberto Giovannini, Sofia Mannelli, Giacomo Pellini e tante e tanti altri