Come attraversare le acque inquiete dell’economia di fronte alla crisi delle dottrine geopolitiche occidentali e alla policrisi ambientale? <<L’incertezza è la cifra di questo periodo>>, esordisce Alessandro Profumo, uno dei più navigati banchieri e dirigenti d’azienda italiani.
Già amministratore delegato del gruppo UniCredit e Leonardo (da cui si è separato nel 2023, succeduto dall’ex ministro Cingolani) e presidente del Monte dei Paschi di Siena. Oggi nel CdA di San Quirico, cassaforte di controllo del Gruppo Erg, di proprietà delle famiglie Garrone e Mondini, Profumo guarda con rinnovata attenzione al settore clean tech e al suo futuro, nonostante la congiuntura complessa.
Dazi e conflitti: congiuntura complessa
<<Ogni giorno ci sono novità sia sul fronte dazi che sul fronte conflitti. I primi hanno impatti soprattutto per le economie esportatrici, come la Germania, l’Italia e, in misura minore, la Francia. Fortunatamente la nostra economia ha una capacità di reazione maggiore rispetto a quella tedesca, che è un mercato di sbocco per noi: grazie a imprese più piccole e flessibili, il nostro Paese può trovare più facilmente delle alternative. I conflitti, invece, oltre agli impatti umani, comportano una grossissima volatilità della componente energetica - si pensi all’altalena dei prezzi del petrolio durante la crisi tra Israele e Iran -, che si ripercuote sull’industria e sul turismo, dove i prezzi dei voli, ad esempio, sono soggetti a grandi oscillazioni>>.
Nonostante la situazione caotica, però, i mercati a inizio luglio hanno mantenuto un outlook positivo, in parte grazie ai tassi di interesse in leggera discesa.
<<Ma la volatilità rimane. La performance positiva della Borsa è legata a cinque grandi player tecnologici, sui quali ci sono però vari punti di domanda. Per far funzionare l’intelligenza artificiale e cloud computing serve una grande quantità di energia. Ci poi sono nuove tecnologie non americane, come Deepseek, che hanno avuto impatti rilevanti su aziende come Nvidia. La prudenza degli investitori è fondamentale>>.
Alessandro Profumo è dubbioso anche sul tema degli investimenti nella difesa: entro il 2030 il 5% del PIL dei paesi membri Nato dovrà servire per il riarmo e la sicurezza.
<<Se i finanziamenti saranno prelevati dalla componente sociale della spesa pubblica, ciò avrà un grande impatto sulla vita delle famiglie. Inoltre, ritengo non sia realistico pensare che la difesa possa riassorbire l'occupazione che viene ‘espulsa’ dal settore automotive>>.
Dove bisogna assolutamente tenere la rotta è il Green Deal europeo.
<<La transizione è fondamentale e alcune revisioni della Commissione europea sono positive: esentare, ad esempio, le piccole imprese, che rappresentano circa l’80% del totale, eccessivamente gravate dalla reportistica, è una giusta decisione, dato che il loro peso non è così rilevante nell’impronta complessiva di gas serra. Noi non dobbiamo sviluppare un’industria della reportistica, ma una reale capacità industriale di decarbonizzare. E qua le grandi imprese hanno un obbligo di filiera>>.
Profumo non condivide i titoli sensazionalistici sulla "fine della finanza verde e ESG" e cita la Banca Centrale Europea, che ha ribadito la centralità per gli investimenti verdi.
<<La BCE mantiene gli obblighi per il sistema finanziario e bancario europeo sul finanziamento e sulla valutazione dell'impatto ambientale delle iniziative finanziate, una decisione molto importante. Sono tanti anni che la finanza lavora su questo tema: ricordo il discorso fatto [nel 2015, ndr] dall’allora governatore della Banca d'Inghilterra Mark Carney, The Tragedy of the Horizon, in cui delineava chiaramente come le tematiche ambientali avrebbero avuto impatti significativi sulle componenti finanziarie e assicurative [nel Regno Unito la Banca centrale presidia anche la componente assicurativa]. Oggi è sempre più evidente che eventi naturali estremi portano a danni molto significativi. Per questo, anche quando si parla di finanza, bisogna stare attenti che la rendicontazione non sia una mera tabella da riempire, ma una richiesta di una chiara strategia di riduzione del rischio>>.
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Il rischio principale per le banche e gli istituti finanziari è il gap conoscitivo: non si conoscono abbastanza le problematiche ambientali (si pensi alla biodiversità) e i rischi connessi.
<<Il gap sussiste, ma si sta iniziando a colmare, è un processo di crescita costante>>, precisa Profumo.
Il ruolo di venture capital e private equity
Oltre alla finanza è importante che anche venture capital e private equity abbiano un ruolo nel sostenere il clean tech. <<L’attenzione è decisamente crescente. Uno dei fondi di private equity di maggior successo in Italia, Ambienta Sgr, è nato focalizzato su tematiche green, al pari di grandi fondi svedesi e olandesi>>.
Tra le aree più interessanti su cui investire, la conservazione dell’energia e l’efficientamento: <<Batterie, innovazione dei materiali, componenti tecnologiche e nuove forme di stoccaggio come l’idrogeno. Ma non va disdegnato il risparmio energetico. Quando ero in Leonardo lanciammo un progetto di efficientamento del sistema di illuminazione, sia degli uffici che degli stabilimenti, che serviva a risparmiare tra il 10 e il 15% sui consumi. Il problema fu trovare un sistema di finanziamento adeguato e reperire un numero di lampadine LED ad alta efficienza>>.
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L’ostacolo per gli investimenti clean tech in Italia è sempre uno, come conclude Profumo: <<I tempi di autorizzazione, per esempio per il lancio di nuovi impianti di produzione di energia da eolico e da solare. Un vero problema, dato che grazie a Terna e ad altre aziende abbiamo una rete solida e pronta alla transizione>>.
Un articolo scritto da Emanuele Bompan
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16/07/2025