IL DIVARIO DI GENERE FRENA IL POTENZIALE DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
Non è un esercizio retorico affermare che il divario di genere è un ostacolo per l’economia sostenibile. Le ragioni sono tante e diverse analisi lo confermano, offrendo utili indicazioni al legislatore da un lato e al mondo delle imprese dall’altro.
Una ricerca pubblicata sul Journal of corporate finance nel dicembre 2022 ha rilevato che le aziende con una maggiore diversità di genere nella loro gestione riducono le emissioni di anidride carbonica circa del 5% in più rispetto a quelle con prevalenza di manager uomini. Le banche con più donne nei consigli di amministrazione tendono a indirizzare maggiori quote di fondi verso investimenti sostenibili. E i Paesi con una maggiore rappresentanza femminile nei loro parlamenti hanno più probabilità di ratificare trattati internazionali riguardanti questioni ambientali.
PIÙ PERFORMANTI CON PIÙ DONNE AL COMANDO
Ma c’è di più. Le aziende con una più alta percentuale di donne nei consigli di amministrazione hanno in media una valutazione della loro performance di responsabilità sociale superiore del 74% rispetto a quelle con la percentuale più basse di donne nei cda. Lo conferma il report Women as levers of change, condotto nel 2020 da FP Analytics, secondo il quale le imprese con una maggiore quantità di donne manager sono del 32% più trasparenti nel divulgare informazioni ESG e ottengono profitti maggiori del 47% (sempre rispetto alle imprese con meno donne ai vertici). Il vantaggio è evidente anche sotto il profilo delle performance di sostenibilità: tra il 2013 e il 2018 le imprese trainate da donne hanno ridotto i consumi energetici del 60% in più rispetto alle concorrenti con meno donne al comando, mentre su emissioni di gas serra e consumi idrici le performance sono state superiori rispettivamente del 39 e del 46%.
UN DIVARIO NON SOLTANTO ECONOMICO
Di fronte a questi dati diventano ancor più drammatici e stridenti i numeri che, invece, descrivono il gap ancora esistente. Quasi 2,4 miliardi di donne a livello globale – registra il rapporto della Banca Mondiale Women Business and the Law 2022 – subiscono discriminazioni di natura economica: la popolazione femminile del Pianeta guadagna nel corso della vita 172.000 miliardi di dollari in meno rispetto a quella maschile, quasi il doppio del Pil mondiale di un anno.
Il divario però non riguarda soltanto il trattamento economico: ci sono settori che più di altri escludono la partecipazione femminile o al più la relegano a mansioni di basso livello. E quello dei cosiddetti green job non è esente da criticità. Certo, un report dell’Irena, l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili, registrava nel 2018 il 32% della forza lavoro femminile nel settore, contro il 22% delle occupate nel settore delle energie fossili, segnalando una leggera prevalenza di presenze femminili in ambiti inerenti la transizione ecologica rispetto alla “vecchia” economia. Ma il trend più generale è tutt’altro che rassicurante: secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro pubblicato lo scorso anno, sui 100 milioni di nuove persone occupate in futuro nei cosiddetti green job solo 30 milioni saranno donne e per giunta ricopriranno posizioni meno remunerative e più precarie.
Se infatti guardiamo alle persone che rivestono ruoli di responsabilità in settori strategici come la produzione di energia elettrica e i servizi pubblici essenziali, le donne costituiscono solo il 5% dei membri del consiglio esecutivo, il 21% dei membri del consiglio non esecutivo e il 15% dei ruoli dirigenziali di alto livello.
IMPIEGHI POCO QUALIFICATI E POCO SPAZIO AI VERTICI
Il tema della scarsa presenza delle donne nelle attività a più alto valore aggiunto si riscontra, a livello globale, anche nel campo dell’economia circolare: il loro impiego si concentra maggiormente in attività come la raccolta e il riciclo dei rifiuti. Un sondaggio realizzato a livello mondiale nel 2022 e intitolato Mapping the status of women in the global waste management sector ha coinvolto 607 donne di 75 Paesi per analizzare le loro condizioni e la loro propensione a ricoprire incarichi di responsabilità. Condotta da Women of Waste (WOW) e sostenuta dall'International Solid Waste Association (Iswa), la survey ha confermato che “le donne sono sovrarappresentate nella parte di minor valore del flusso di rifiuti e sottorappresentate in attività di alto valore come la progettazione o la gestione di tecnologie avanzate”.
Le imprenditrici del settore hanno segnalato difficoltà nell’ottenere prestiti e, se fosse necessaria una conferma, è anche emerso che le donne continuano a doversi destreggiare tra lavoro e responsabilità familiari.
STEM: UN FRENO ALLA PARITÀ
Altra atavica questione legata alla discriminazione e al retaggio di vecchi pregiudizi è rappresentata dallo scarso coinvolgimento delle donne nelle cosiddette STEM, vale a dire le attività scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, sempre più al centro della cosiddetta doppia transizione, ecologica e digitale. Fatto 100 il totale delle persone che a livello globale scelgono discipline STEM nell’istruzione superiore, soltanto 35 sono donne. Nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione la percentuale scende al 3% appena.
In Italia, secondo i dati Istat relativi al 2020, solo l’8% delle ragazze si iscrive alle facoltà dell’area STEM, contro il 30,3% dei ragazzi. A questo si aggiunge, poi, che difficilmente le donne riescono a ricoprire ruoli apicali nel settore della tecnologia e delle scienze, nonostante negli ultimi anni nel nostro Paese siano la maggioranza delle persone laureate e spesso con risultati più brillanti rispetto alla popolazione studentesca maschile.
I dati dell’Anvur, l’Agenzia per la valutazione dell’università e della ricerca, registrano un incremento nelle immatricolazioni delle donne nell’anno accademico 2021/22 rispetto all’anno 2011/12 al Nord Ovest (+32% rispetto al +25% degli uomini), al Nord-Est (+29% rispetto al +25% degli uomini), una situazione omogenea al Centro (+18% sia per le donne che per gli uomini), un incremento delle sole immatricolazioni maschili al Sud, che è pari al 16%. Infine si osserva un andamento di maggiore equilibrio di genere nelle aree STEM nelle Isole (+30% per le donne; +33% per gli uomini).
Nell’anno accademico 2021/2022 i laureati in queste aree disciplinari sono stati 45.502 contro 28.706 laureate, mentre non vi è una grande differenza nelle esperienze di dottorato: le dottorande sono pari al 47,8% e i dottorandi al 52,2% nell’anno accademico 2021/22, ma in questo stesso anno accademico la quota di dottorande si è ridotta del 4% rispetto al 2011/12.
UN PERICOLOSO GAP DI COMPETENZE
Ad alimentare il gender divide contribuisce la questione delle competenze, ovviamente anch’essa influenzata da stereotipi e fattori storici di discriminazione. Uno spaccato interessante, sotto questo profilo, emerge dal Globl Green skills report 2023 di Linkedin: solo una persona su otto, nel mondo del lavoro, possiede le competenze necessarie per la transizione ecologica, dalla contabilità delle emissioni alla gestione sostenibile della catena di fornitura. Se guardiano questo dato scorporandolo tra donne e uomini, nel primo caso le competenze per la sostenibilità sono appannaggio di una persona su dieci, mentre tra i maschi le possiede uno su sei. Il rischio dunque, se non si inverte la rotta, è quello di continuare ad alimentare il divario anche in questo ambito, perché lavoratrici e lavoratori con competenze adeguate possono ambire a retribuzioni migliori. A questo va aggiunto un altro elemento di preoccupazione: l’80% di chi trova un’occupazione “green” viene già dal settore o comunque possiede le competenze necessarie per farlo.
Se le donne con le competenze necessarie restano meno degli uomini, saranno inesorabilmente escluse dall’occupazione nella cosiddetta green economy, a maggior ragione quando si tratterà di riconvertire alcuni settori particolarmente impattanti, come ad esempio quello delle energie fossili. Storicamente si tratta di settori ad elevatissima concentrazione di occupati maschili, persone che peraltro posseggono competenze molto vicine, se non sovrapponibili, a quelle necessarie per produrre energia in maniera più sostenibile. Questo significa che un’azienda che produce ecoenergie preferirà fare minori investimenti in formazione assumendo lavoratori già esperti. E ancora una volta le donne si ritroveranno penalizzate se non interverrà un investimento mirato allo sviluppo e all’aggiornamento di tali competenze nella popolazione femminile.
APPUNTAMENTO A ECOMONDO 2024
Nel Gender Equality Index 2023, intitolato “Towards a green transition in transport and energy”, l’European Institute for gender equality ha ribadito: “La transizione verde è destinata a guidare l’innovazione e il cambiamento strutturale verso un’economia e una società più rispettose dell’ambiente. Tuttavia, è probabile che i guadagni e i costi dell’aggiustamento siano distribuiti in modo ineguale. La maggior parte della crescita occupazionale verso la transizione verde è prevista nei settori attualmente dominati dagli uomini e potrebbe quindi aumentare la disuguaglianza tra donne e uomini se non si considera una prospettiva di genere. Una transizione verde giusta e socialmente sostenibile deve tenere conto di questi aspetti”.
Nell’ultimo anno EconomiaCircolare.com ha contribuito a sviluppare un percorso di analisi e narrazione sul ruolo delle donne nella transizione ecologica, nell’ambito di un progetto chiamato “Poderosa”, per evidenziare che per ridurre il divario di genere non basta mettere insieme un “po’ di rosa” ma bisogna costruire con decisione i presupposti di una autentica e giusta transizione. Un osservatorio che continuerà ad approfondire le cause del divario, individuando contestualmente le pratiche e le politiche utili e rimuoverle. L’edizione 2024 di Ecomondo sarà l’occasione per accendere ulteriormente i riflettori sulla questione insieme a esperte del tema, esponenti delle istituzioni, imprenditrici e manager impegnate nella riduzione del gender gap nel settore dell’economia circolare e più in generale della sostenibilità ambientale.
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Un articolo di Raffaele Lupoli
direttore responsabile di EconomiaCircolare.com