“La crisi climatica è una minaccia universale e deve rimanere separata dalla politica”. A pronunciare queste parole il 19 luglio è stato John Kerry, l'inviato degli Stati Uniti per il clima ed ex Segretario di Stato, durante una missione diplomatica a Pechino, in Cina.

Tuttavia, a pochi mesi alla COP28 di Dubai, il ritrovato dialogo non ha portato a un nuovo accordo sul clima tra i due Paesi. Anche per merito delle tensioni sui dossier Taiwan e Ucraina, per ora le prime due economie per emissioni di gas serra al mondo proseguiranno quindi su strade separate nelle rispettive strategie di decarbonizzazione. Strategia che per la Repubblica popolare cinese, sotto certi aspetti ormai da vent’anni, include anche l’economia circolare.
 

Gli albori dell’economia circolare in Cina

Sebbene già nel 1985 il Consiglio di Stato avesse emanato “Disposizioni provvisorie sullo sviluppo di un utilizzo completo delle risorse”, strumento che prevedeva un preciso elenco di risorse destinato a un uso più efficiente, il concetto di economia circolare nel Paese dei Dragoni si fa largo solo durante gli anni ’90. In quegli anni, anche grazie alla spinta del Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, furono introdotte per la prima volta politiche di prevenzione del danno ambientale che abbracciavano l’intero processo di produzione, sempre più ispirato ad una cleaner production. Insomma, non solo gestione finale dei rifiuti.

La prima legge specializzata arrivò però solo nel 2002. Durante la 28° sessione del IX Congresso Nazionale del Popolo venne infatti adottata la “Legge per la promozione dell’economia circolare”, tassello della strategia cinese sulla prevenzione dell’inquinamento. Miglioramento nella progettazione, utilizzo di energia pulita e materie prime, sviluppo tecnologico ed efficienza delle risorse erano le principali direttrici di intervento previste dalle norme.

Ma la spinta della legge del 2002 non era sufficiente. Nel 2005 il Consiglio di Stato pubblicò le sue “Opinioni sull’accelerazione dello sviluppo dell’economia circolare”, evidenziando sì progressi nell’utilizzo di energia e risorse, ma anche evidenziando i limiti di consumi elevati e bassa efficienza. Fecero così ingresso i principi di “riduzione, riutilizzo e riciclaggio”. Nel 2006 fondamentale è l’ingresso dell’economia circolare negli obiettivi dell’11° Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico e Sociale, emanato dall’appena insediata amministrazione di Hu Jintao. Oltre alla promozione di un utilizzo efficiente delle risorse, veniva stabilita la creazione di un sistema di responsabilità estesa del produttore per favorire riutilizzo e riciclo e l’avvio di progetti pilota nei principali settori industriali.
 


L'accelerazione. Nel 2008 la prima Legge per la promozione dell'economia circolare in Cina

Il 29 agosto 2008 la stessa amministrazione approvò la “Legge per la Promozione dell’Economia Circolare della Repubblica Popolare Cinese”, che entrò in vigore l’anno successivo per migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, proteggere e migliorare l’ambiente e realizzare uno sviluppo sostenibile. In ogni caso il nuovo modello economico, secondo le norme, sarebbe stato alimentato dal governo, guidato dal mercato, implementato dalle imprese anche attraverso un’ampia partecipazione del pubblico.

Aspetti che troveranno una loro continuità all’interno del Il 12° Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico e Sociale, ufficialmente approvato 14 marzo del 2011, anno in cui la Cina avviò il programma di Trasformazione Circolare dei Parchi Industriali (CTIP) per affrontare le sfide connesse alle risorse e all'ambiente durante la rapida crescita economica. Questo programma mirava a promuovere l'efficienza delle risorse nella produzione, seguendo i principi dell'economia circolare, come "riduzione", "riutilizzo" e "riciclo". A livello nazionale e provinciale, la Cina ospita un totale di 2.543 parchi industriali, i quali sono stati creati con l'obiettivo di ottimizzare il layout spaziale e adeguare la struttura industriale, adattandola ai principi dell’economia circolare, dalla progettazione al recupero delle risorse in ottica di simbiosi industriale.

Nel 2013 – quindi un anno dopo rispetto a quando l’attuale presidente Xi Jinping riuscì a far inserire il termine “civiltà ecologica” nello statuto del Partito Comunista Cinese – veniva pubblicato un ulteriore piano strategico per l’economia circolare, questa volta a breve termine e strutturato su tre scale diverse (aziendale, parchi industriali, città e provincia) e articolato per i principali settori industriali: carbone, industria energetica e siderurgica, petrolifera, tessile, edilizia, cartaria ed alimentare.

Il 14 maggio del 2017 venne pubblicato il Circular Development Leading Action, allo scopo di dare continuità alle strategie proposte nel 13° Piano Quinquennale (2016-2021), nel frattempo approvato mutando forma al “Sogno cinese”. La società entrava in un’era di crescita moderata, definita la “Nuova Normalità”, dove l’economia rimaneva socialista, di mercato, ma più aperta all’esterno. Il Piano del 2017 prevedeva un aumento del 15% al 2020 (rispetto ai livelli del 2015) del tasso di produttività delle risorse; un tasso di riciclo dei principali materiali di scarto pari al 54,6%; un tasso di riutilizzo dei rifiuti solidi industriali del 73%; e soprattutto l’avvio di una trasformazione circolare per il 75% dei parchi industriali di livello nazionale e per il 50% di quelli di livello provinciale.
 

Dove siamo oggi. Le principali barriere allo sviluppo dell’economia circolare

Arrivando al giorno d’oggi, il 7 luglio 2021, la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma cinese ha pubblicato il Piano di sviluppo dell'economia circolare. Il Piano contiene una serie di obiettivi che la Cina dovrà raggiungere entro la fine del 14° Piano quinquennale, nel 2025. Lo sviluppo dell'economia circolare dovrà avvenire attraverso varie iniziative, come aumento del riciclo, remanufacturing, ecodesign di prodotti sostenibili, risorse rinnovabili.
In particolare il governo punta a:

  •  aumentare la produttività delle risorse ( il rapporto tra il prodotto interno lordo e il consumo di materiale interno) del 20% rispetto ai livelli del 2020;
  • ridurre il consumo di energia e di acqua per unità di PIL rispettivamente del 13,5% e del 16% rispetto ai livelli del 2020;
  • utilizzare 60 milioni di tonnellate di carta da macero e 320 milioni di tonnellate di rottami di acciaio;
  • produrre 20 milioni di tonnellate di metalli non ferrosi riciclati e aumentare il valore della produzione dell'industria del riciclo delle risorse a 773 miliardi di dollari.
     

Tuttavia, così come fu per la legge di Promozione del 2008 e il piano del 2017, in Cina non mancano le barriere allo sviluppo dell’economia circolare, che negli anni si sta muovendo dalla retorica all’implementazione. I principali ostacoli - oltre ad una scarsa specificità degli obiettivi, contenuti in strategie ispirate per lo più a principi generali – sono apparsi in uno studio del 2022 alcuni ricercatori dell’Henan Institute of Science and Technology, che hanno analizzando le parole chiave relative ai fattori di spinta e di ostacolo nella letteratura esistente. Pur riconoscendo principali fattori di spinta dell'economia circolare come sostegno politico del governo, partecipazione pubblica, benefici economici, supporto allo sviluppo tecnologico, la review evidenzia come tra le principali barriere alla transizione circolare in Cina ci siano ancora barriere culturali, di mercato, normative e tecnologiche. Ostacoli che secondo i ricercatori possono essere superati attraverso l'istruzione superiore, che potrebbe esercitare un'enorme influenza sul rafforzamento dei fattori trainanti.

 

Un articolo scritto da Giorgio Kaldor e Emanuele Bompan